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Barriere identitarie

A cura di Massimo Collina

Introduzione
Questo mese ho partecipato ad un incontro con una società di gestione del risparmio Svizzera, famosa per aver coniato i megatrend, che ha presentato l’attuale scenario economico in modo accattivante “Presente contro presente”. Un presente dominato dalle forze di breve termine che turbano il mondo: crisi sanitaria, shock energetico, guerra commerciale, crisi climatica, conflitti geopolitici, crisi inflattiva, shock generazionale e politiche nazionali. Ma anche un presente nel quale sono già in atto trend di lungo periodo, che modellano un mondo migliore in grado di
risolvere le crisi che stiamo vivendo o vivremo a breve: biotecnologie e salute, energia pulita, robotica, nutrizione ed acqua, digitalizzazione e sharing economy, sicurezza, smart city e identità aziendale.
Penso sia normale essere focalizzati sui fattori di crisi che hanno condizionato questo terribile 2022 e non su quanto di buono la società e l’economia stanno facendo oggigiorno per il nostro futuro. Già un anno fa nelle newsletter scrivevo che il mercato sarebbe stato condizionato dall’inflazione
e dagli eventi geopolitici, anche se per i secondi mi riferivo alla guerra commerciale USA-Cina.

Come mai questi eventi hanno impattato in modo così significativo sui risultati di quest’anno?

Perché i gestori non sono riusciti a proteggere i patrimoni a loro affidati? La risposta penso sia: non eravamo più abituati a fenomeni di questi portata. Dell’inflazione ho parlato a lungo in questo ultimo anno e già a fine 2021 facevo notare che l’inflazione non sarebbe stata transitoria, ma persistente. Tuttavia quest anno le banche centrali hanno rivisto più volte al rialzo le stime sui tassi d’interesse e oggi sentiamo parlare di una politica monetaria dove prevalgono i “falchi”, cioè i rigoristi disposti ad attuare una politica di austerity per frenare l’inflazione, sulle “colombe” che invece propenderebbero per una politica monetaria più morbida che scongiuri una recessione. La BCE ha mantenuto i tassi negativi dal 2014 fino a inizio anno, ora sono al 2%. I “falchi” sono i banchieri centrali che avrebbero l’audacia di aumentare i tassi della BCE e quelli della Fed (oggi al 4%) ulteriormente. Ma ora diamo un’occhiata al tasso d’inflazione nell’Eurozona oltre il 10%. Se i tassi della BCE sono così significativamente al di sotto del tasso di inflazione, come possiamo parlare di una politica monetaria da “falchi”? La realtà è che nell’ultimo decennio le banche centrali ci hanno abituato bene (o male) e oggi ci scopriamo vulnerabili a tassi che si stanno normalizzando, ma ben al di sotto dell’inflazione.

Nell’editoriale “Il secolo lungo” di Limes di ottobre Luigi Caracciolo parla di un passaggio da ideologia a identità. L’era ideologica che ci ha accompagnato negli ultimi decenni ha messo in soffitta la geopolitica, ma oggi viviamo tutto un altro mondo. Come disse Obama dopo la vittoria di
Trump: “Non è la fine del mondo, è la fine di un mondo”. Dal crollo del muro di Berlino l’America, senza la presenza di una superpotenza rivale, intuì che le guerre altruistiche avrebbero rappresentato una parte del suo futuro. Status che non poteva durare all’infinito, come d’altronde
la contrapposizione est-ovest, perché l’umanità è troppo vasta e variegata per essere ridotta ad uno schema, che poteva andare bene per gli umani sopravvissuti alla seconda guerra mondiale, non agli attuali 8 miliardi. L’ideologia aggrega, l’identità disgrega. Da dove nasce questa smania di identità? Dall’orgoglio che agita l’uomo. Il Thymos degli antichi greci, “l’ira funesta” che muove Achille alla guerra di Troia. “L’ultimo uomo è quello di Nietzsche: vuoto di dignità, amputato del Thymos, vegetante. Soddisfatto della propria condizione materiale, di cui resta schiavo. Essere senza storia. La vita dell’ultimo uomo è fatta di sicurezza fisica e abbondanza materiale, proprio quanto ai politici occidentali piace proporre ai propri elettorati. La vera casa dell’ultimo uomo è l’Unione Europea; superamento della sovranità nazionale, della politica di potenza e di quel genere di lotta che rende necessaria la potenza militare” (Francis Fukuyama). Il movente primario dei conflitti non è l’acquisizione di beni materiali, non siamo ancora “ultimi uomini”, ma lo status cioè l’identità riconosciuta da chi riconosciamo abilitato a riconoscercela. È la brama di riconoscimento che muove la storia. La Russia invade l’Ucraina perché vuole che Washington gli riconosca il rango di grande potenza, che gli ha revocato con la disgregazione dell’URSS. La Cina intende concludere entro il primo centenario della Repubblica Popolare la rincorsa al primato economico. Gli Stati Uniti intendono confermarsi Numeri Uno, perché sentono scivolarsi di mano lo scettro che impugnano dalla fine della seconda guerra mondiale. Tre potenze incerte del proprio status, che non si riconoscono pari dignità. Bene non negoziabile.

Considerazioni economiche
Già un paio di anni fa, alcuni analisti si aspettavano che l’economia cinese avrebbe superato l’economia degli Stati Uniti e dell’Europa messe insieme. Da allora i fondamentali sono peggiorati e le valutazioni delle società quotate sono scese. Alibaba, l’Amazon cinese, fino a metà novembre
scambiava a circa 8 volte gli utili (le valutazioni sono considerate adeguate quando i titoli scambiano fino a 15 volte gli utili). Colpire la Cina è praticamente diventato uno sport nazionale negli USA e in occidente. Il sentimento negativo nei confronti del gigante asiatico è alle stelle.
La narrativa in Occidente sembra essere: “il bene dell’Occidente contro il male della Cina” e “l’Occidente può semplicemente disconnettersi dalla Cina e ripristinare i posti di lavoro in tempi brevi”. Questa narrativa è ovviamente incorporata nelle valutazioni di Alibaba (8,8 prezzo/utili) e
Apple (24,2), anche se Apple ha un’esposizione diretta alla Cina (18% delle entrate) e indiretta (fornitori come Foxconn e Taiwan Semiconductor). Le valutazioni delle azioni cinesi riflettono un’incoerenza da parte degli investitori, che non possono essere estremamente negativi sulla Cina,
sulla sua leadership e al tempo stesso essere ottimisti riguardo all’Europa e ai mercati azionari statunitensi. La maggior parte delle multinazionali è fortemente esposta alla Cina e una grande percentuale dei loro ricavi deriva dalla vendita dei loro prodotti sul mercato cinese. In altre parole, se gli investitori sono estremamente negativi sulla Cina, perché si aspettano che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina possa avere un’escalation, dovrebbero considerare che le aziende USA e l’economia statunitense potrebbero soffrire almeno quanto, se non di più, dell’economia cinese e delle sue azioni quotate. Negli ultimi due mesi sono usciti dati meno negativi del previsto sull’inflazione, l’indice dei prezzi alla produzione statunitense, che anticipa l’indice dei prezzi al consumo, è rallentato a ottobre per il secondo mese consecutivo, confermando i segnali di una possibile riduzione delle pressioni inflazionistiche. La variazione annuale si è attestata all’8%, in calo rispetto all’8,4% di settembre.
Sebbene i dati statunitensi siano stati incoraggianti, alcuni membri della FED si sono espressi a favore di un tasso terminale di almeno il 5-5,25% (dal precedente 4,75-5%).

Osservazioni sugli investimenti
Sebbene questa dichiarazione può apparire come una battuta d’arresto, si può mantenere una visione complessivamente positiva sui mercati obbligazionari per il 2023, poiché ci stiamo avvicinando al picco di restrizione delle banche centrali. Pertanto la Fed non si dovrebbe
discostare molto dal percorso che ha seguito e i commenti di questi esponenti dovrebbero essere considerati come un tentativo di ”placare” i mercati dopo alcune settimane di crescita. Il tasso terminale statunitense prezzato dai mercati rimane al 5% circa e dovrebbe essere raggiunto nel
maggio 2023. Nella scorsa newsletter facevo notare che il mercato era ipervenduto e che le azioni avrebbero potuto rimbalzare. Anche i titoli di stato USA hanno toccato un minimo il 24 ottobre, per poi recuperare sulle aspettative di un allentamento del ritmo dei rialzi dei tassi nel 2023, da parte delle banche centrali. Il recente rally delle obbligazioni potrebbe anche essere imputato allo stato dell’economia globale, che sta già decelerando e riducendo le pressioni inflazionistiche attraverso un crollo della domanda. Se guardiamo le performance delle azioni di tutto il mondo e
delle obbligazioni, possiamo osservare che i portafogli sono in calo di circa il 20% rispetto ai massimi di un anno fa. Le azioni e le obbligazioni sono oggi una percentuale del PIL molto più grande che in passato e una perdita di valore di queste dimensioni si rifletterà in un calo
percentuale elevato del PIL. Più di un cliente negli ultimi mesi mi ha chiesto come coprirsi contro l’inflazione. Dal 2010 una buona copertura contro l’inflazione era possedere azioni, obbligazioni e immobili. Ma oggi le condizioni sono cambiate e le azioni, le obbligazioni e gli immobili saranno desiderabili solo se acquistati ad un prezzo conveniente. Bank Credit Analyst (BCA) ha recentemente pubblicato un rapporto sui mercati emergenti. Non ha ancora emesso un segnale d’acquisto, ma questo report anticipa che i mercati emergenti torneranno presto investibili. Si tratta di un settore finanziario depresso e che beneficerebbe di una rinnovata inflazione monetaria. Un altro settore che potrebbe beneficiarne è quello bancario
delle economie emergenti, ma anche Europeo e statunitense. Infine le azioni di Hong Kong e cinesi in questo momento per una combinazione di eventi sfavorevoli sono su livelli estremamente depressi e ipervenduti. Il mercato ribassista di Hong Kong dal picco di gennaio 2018 ha soddisfatto tutte le condizioni per la formazione di un minimo importante. Le condizioni per un minimo principale includono il tempo (mercato ribassista di quasi 5 anni), la profondità (in calo del 55% rispetto ai massimi) e il sentimento (estremamente negativo).

Auguro a tutti voi un Buon Natale e un felice anno nuovo.