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Banchieri e burocrati

A cura di Massimo Collina

Introduzione
Mentre attendiamo il default russo sotto il peso delle sanzioni, cosa accade ai paesi sanzionatori? Qualcuno dice che il fallimento c’è già stato, ma il Rublo è sui massimi e l’euro sui minimi. Inoltre, il surplus commerciale russo da esportazioni è letteralmente esploso insieme al prezzo del gas. Olaf Scholz dovrà statalizzare le aziende distributrici di energia in default, dovrà razionalizzare l’energia e annuncia un inverno al freddo. Boris Johnson è stato costretto a farsi da parte dopo aver auspicato l’ingresso immediato dell’Ucraina in Europa, dall’autorevole punto di vista di chi dall’Europa aveva voluto uscire solo pochi mesi prima. Emmanuel Macrom è inabilitato dalle legislative e Mario Draghi si è dimesso. Questa è la forza della democrazia. La borsa di Milano e i BTP hanno accusato il colpo, ma per adesso in modo composto. In questo momento un terzo del debito pubblico italiano è in mano alla BCE e questo è il vero scudo per il nostro debito. Il punto è chi finanzierà il nostro debito nei prossimi anni. All’estero considerano Draghi uno dei migliori leader al mondo e pensano che se uno come lui non è riuscito a mettere a terra il PNRR, allora non ci riuscirà nessuno. E’ veramente singolare quanto accaduto a seguito delle dimissioni di Draghi. Le manifestazioni di stima che ha ricevuto nel nostro paese e nei paesi del patto atlantico ci ricordano, se mai ce ne fosse bisogno, l’autorevolezza e le capacità del nostro ex-premier. Questi riconoscimenti sono tutt’altro che frequenti, soprattutto nei confronti dei banchieri centrali, che negli ultimi vent’anni sono stati i principali responsabili dell’aumento delle diseguaglianze economiche nei paesi occidentali.

Considerazioni sulle banche centrali
Giovedì 21 luglio la BCE ha alzato il costo del denaro dello 0,50%, e questo aumento combinato all’aumento dello spread a seguito della crisi di governo, rende i mutui in Italia più cari che in Grecia. In una intervista Chirstine Lagarde ha dichiarato “La guerra tra Russia e Ucraina ha determinato un rialzo dei costi dell’energia e dei prodotti agricoli. All’aumento dei prezzi contribuisce inoltre la scarsità dei materiali. Tutto questo si ripercuote sulle persone e sulle imprese, soprattutto su chi ha un reddito più basso. In ampia parte questa inflazione è sospinta da fattori che le banche centrali non possono controllare. Lagarde mente, tranne sul fatto che il conto dell’inflazione lo pagano le persone con il reddito più basso. Mente come mentono tutti i politici che attribuiscono la responsabilità dell’inflazione alla guerra. In “A Monetary History of the U.S” (1963) gli autori Milton Friedman e Anna J. Schwartz ricostruiscono la politica monetaria americana dal 1867 al 1960. Studiando la Grande Depressione del ’29 osservano come il paese e la Federal Reserve hanno dovuto affrontare una crisi di liquidità nel settore bancario. Quando negli anni 30 le prime banche americane fallirono, i depositanti si allarmarono all’idea di perdere il loro denaro, così iniziarono le corse agli sportelli, che si autoalimentarono. Allora la Fed rimase a guardare e non fece nulla, quindi le banche una dopo l’altra fallirono. Questo portò i depositanti a prelevare i fondi anche dalle banche che non erano in difficoltà, aggravando la crisi e provocando ancora più fallimenti. Ben Bernanke, presidente della FED dal 2006 al 2014 sotto due presidenti diversi (Bush W. e Obama), fece tesoro della lezione del ’29 e guidò il 9 agosto 2007 le banche centrali di tutto il mondo, intervenendo per bloccare quella che era diventata una massiccia stretta creditizia. La Federal Reserve e il Tesoro americano intrapresero una serie di azioni di emergenza sempre più drastiche per far ripartire i prestiti. La banca centrale prestò centinaia di miliardi di dollari, accettando garanzie che in passato non avrebbe mai accolto, e aprì prestiti diretti a istituzioni che non avevano i requisiti per ottenerli. Nei primi anni 2000 il prezzo medio di una casa unifamiliare in California è praticamente raddoppiato. Oltre il 20% di coloro che hanno acquistato case tra il 2003 e il 2005 hanno speso oltre la metà dei loro redditi per il mutuo. Nacque in quel periodo il mutuo “interest-only”, che consentiva all’acquirente di ritardare i pagamenti del capitale per i primi 10 anni. Una forma di mutuo considerata molto rischiosa, tanto che nel 2002 rappresentava solo il 2% del mercato dei mutui. Sotto la supervisione di Janet Yellen, allora presidente del Fed di San Francisco (poi della Fed dopo Bernanke e ora segretario del tesoro americano), all’inizio del 2004 la percentuale di questi mutui superava il 47% e salì nella seconda metà del 2004 al 67% di tutti i mutui residenziali della California. Nell’aprile 2008 in California venivano messe all’asta più di 1.000 case al giorno. Alcune località di questo stato erano diventate un vero e proprio casinò per investitori non residenti, che compravano due case alla volta e i prezzi aumentavano del 30% all’anno. Nell’ agosto del 2008 tre quarti delle case di queste località erano pignorate. Lo scoppio della bolla immobiliare americana portò un terremoto sul mercato finanziario, perché quei mutui spericolati, sottoscritti da debitori non affidabili, erano stati impacchettati e venduti sui mercati finanziari, attraverso obbligazioni che apparivano sicure. Nel 2008 il problema era diverso dal ’29, le banche non erano in crisi di liquidità, ma avevano un problema sul lato patrimoniale dei loro bilanci. Queste obbligazioni “tossiche” non riuscivano ad essere valutate dal mercato e di conseguenza non potevano essere vendute. I bilanci delle banche che detenevano queste obbligazioni non erano credibili e tutto il mercato del credito si bloccò. Non si sapeva a chi prestare denaro, perché non si sapeva chi era sano e il Segretario del tesoro americano Paulson passò dall’acquisto di queste obbligazioni alla ricapitalizzazione diretta delle banche. La Fed pensava che il mercato avesse bisogno di più liquidità, ma questa non era la soluzione alle perturbazioni del mercato.
L’aumento dei prezzi in settori specifici dell’economia può essere causato da a una varietà di fattori, ma gli aumenti dei prezzi di tutte le attività finanziarie (e immobiliari), come quello che abbiamo assistito dal 2009 ad oggi, sono sempre il risultato di politiche monetarie espansive.

L’inflazione è in realtà l’atto di creazione di moneta da parte della banca centrale. Gli aumenti dei prezzi diffusi sono un sintomo, non la causa, dell’inflazione. Le banche centrali, inondando il mercato di liquidità per oltre 10 anni, hanno preparato il terreno per l’esplosione dell’inflazione.
Così facendo le disuguaglianze economiche si sono accentuate, perché chi deteneva azioni, obbligazioni o immobili ha visto in questi anni salire in modo considerevole i valori di questi asset, chi invece aveva redditi più bassi, non solo non ha goduto del rialzo dei mercati, ma si troverà in difficoltà di fronte agli effetti inflattivi che questa politica monetaria ha creato. In poche parole le masse pagheranno il conto dei salvataggi di aziende che dovevano fallire.
Salvataggi attuati dai governi dei paesi occidentali, le cui banche centrali non si sono dimostrate istituzioni indipendenti, ma al servizio della politica.

Considerazioni economiche e sugli investimenti
Friedman: “L’inflazione è una vecchia, vecchia malattia. Non c’è niente di più semplice che fermare un’inflazione – dal punto di vista tecnico”. “L’unica cura per l’inflazione è quella di ridurre il tasso di crescita della spesa totale”. Questa cura ha degli effetti collaterali temporanei, come ha osservato Friedman: “Non c’è modo di rallentare inflazione senza un aumento transitorio della disoccupazione, e senza una riduzione transitoria del tasso di crescita della produzione. Ma questi costi saranno immensamente inferiori ai costi che si dovrebbero sostenere permettendo alla malattia dell’inflazione di infuriare in modo incontrollato”. La FED e ora anche la BCE si sono impegnate ad aumentare il costo del denaro e non sono minimamente preoccupate che questi rialzi possano causare un rallentamento economico, perché una frenata della produzione e dei consumi non può che giovare all’inflazione. C’è chi sostiene che gli USA entreranno solo in recessione tecnica, in questo caso i minimi del mercato azionario di giugno sono da considerarsi definitivi. Pensare invece che l’Europa possa cavarsela solo con una recessione lieve è un azzardo. Il sentiment degli investitori è vicino ai minimi storici, ma allo stesso tempo gli investitori rimangono fortemente esposti alle azioni. Sarebbe molto insolito se si fosse verificato un importante minimo del mercato azionario raggiunto con un’esposizione dei piccoli investitori vicino al massimo storico. Un altro dato che mal si concilia con un minimo di mercato sono le stime degli utili delle società americane ancora troppo elevate, che potrebbero contrarsi a seguito di una recessione che è già in atto e di una moltitudine di sanzioni internazionali mal concepite, che potrebbero deprimere gli utili aziendali. Attualmente un portafoglio con un’allocazione 30% azioni, 10% materie prime e 60% obbligazioni perde circa il 10% da inizio anno. Se la recessione di rivelerà più severa di quanto ad oggi scontato dal mercato i titoli governativi dovrebbero iniziare a performare meglio che nel primo semestre, perché inevitabilmente le banche centrali sposteranno il focus dalla lotta all’inflazione alla ripresa dell’economia. Nello scorso report segnalavo che i mercati azionari erano in ipervenduto, questo unito ad un sentiment molto depresso degli investitori avrebbe potuto favorire un rimbalzo dei prezzi delle azioni dai minimi di giugno. Luglio si è chiuso con il segno positivo per i principali indici ed è possibile che il recupero di estenda alla prima metà del mese di agosto, dove scambi più rarefatti potrebbero aiutare la speculazione a cavalcare questo rimbalzo estivo.

Al rientro dalle vacanze la prudenza sarà d’obbligo, perché settembre e ottobre statisticamente sono mesi difficili per i mercati. Gli indici potrebbero ritestare i minimi di giugno o spingersi oltre (ipotesi minoritaria) scontando una dura recessione. Incrementare la quota di obbligazioni governative dovrebbe aiutare a difendere il portafoglio in autunno. Poi finalmente arriverà il semestre migliore per i mercati (novembre -aprile) e quest’anno la “liquidazione dei morti” (2 nov.) potrebbe portare occasioni interessanti per i mesi finali dell’anno e per il primo quadrimestre del 2023.