a cura di Massimo Collina
Il film “Mary Poppins” è ambientato nella Londra di inizio ‘900, qualche anno prima del ’29. I riferimenti alla grande depressione non mancano: dal cognome della famiglia presso cui la governante presta i propri servizi, Banks, fino all’episodio della corsa agli sportelli. In questa scena Michael, convinto dal padre a depositare in banca i due penny che lui invece voleva donare alla signora dei piccioni, si scontra con l’avidità di quel mondo.
Quando il bambino rivuole le sue monete, il padre, integerrimo bancario, insieme ai superiori, cercano di convincerlo a lasciarle in deposito: “Se crolla la Banca d’Inghilterra, crolla l’Inghilterra”. Le urla di Michael spaventano gli altri correntisti, che si precipitano anche loro a chiedere indietro tutti i loro risparmi e costringono i cassieri a chiudere gli sportelli.
La corsa agli sportelli è un fenomeno senza tempo, lo sanno bene i clienti di Silicon Valley Bank. La banca è fallita non per problemi di solvibilità, ma di liquidità. Il denaro SVB lo aveva, ma era investito a lungo termine, in titoli di stato americani che nel corso del 2022 erano crollati di prezzo a seguito dei numerosi rialzi dei tassi della FED. La banca è stata costretta a venderli per far fronte ai riscatti, dichiarando una perdita, che i mercati non hanno gradito e le azioni sono crollate.
Possiamo fidarci delle banche? Prendiamo la Banca Nazionale Svizzera, che 2 giorni prima dell’acquisto di Credit Suisse, da parte dello storico rivale UBS, ha dichiarato che l’istituto rispettava i più alti requisiti di capitale e liquidità richiesti a banche sistemiche importanti. Dopo 48 ore sono stati azzerati 16 miliardi di obbligazioni, ribaltando le regole del sistema finanziario, che fino ad oggi prevedevano che a pagare in primis fossero gli azionisti e solo dopo gli obbligazionisti.
La decisione di azzerare il valore delle obbligazioni CS, se pur subordinate (cioè quelle più rischiose, che offrono rendimenti più elevati), sta creando tensioni sul mercato di questi bond, tanto che la scorsa settimana è finita nel mirino della speculazione anche Deutche Bank, che non è più la banca sommersa da crisi e inghiottita dagli scandali che era nel 2016-18. DB ha chiuso il 2022 con un utile 5,7 mld, al contrario di CS che lo scorso anno ha chiuso con una perdita di 7,3 mld.
La BNS non è nuova a dichiarazioni false. Nel 2015 il suo presidente annunciò la fine della soglia minima tra franco ed euro in vigore fino a quel momento (1,20 franchi per euro). Due giorni prima però il suo vice aveva dichiarato che la Banca con avrebbe consentito al franco di rivalutarsi, ma dopo l’annuncio del presidente in pochi minuti il franco arrivò a 0,85 nei confronti dell’euro (+30%).
Questa decisione portò al fallimento molti fondi speculativi, che avevano investito su quella che sembrava una scommessa sicura (il franco non può rivalutarsi vs l’euro), ma poi ha costretto la BNS a stampare e vendere franchi per impedire una rivalutazione eccessiva della moneta svizzera, da sempre richiesta a livello internazionale come valuta rifugio. Con il ricavato della vendita sono state acquistate azioni per pagare i dividendi ai cantoni svizzeri, ma il 2022 ha consegnato una perdita alla banca di 134 miliardi di franchi.
In Credit Suisse avevano un conto corrente persone vicine a Putin e per questo motivo la banca era finita in una indagine del dipartimento di giustizia USA. La banca era vicina agli arabi, che hanno partecipato all’aumento di capiate a dicembre, e anche alla Cina. CS aveva annunciato a inizio marzo il lancio di servizi di Wealth Management in Cina, uno dei mercati patrimoniali a più rapida crescita a livello globale. Ma un paese controverso, vicino alla Russia, in tensione con gli USA.
Probabilmente la necessità di uscire da una situazione finanziaria difficile ha fatto dimenticare al management, che ci sono delle convenzioni e degli equilibri che è bene rispettare. Ma questo rende lecita un’ultima domanda: possiamo fidarci degli USA e della Cina dopo la guerra e gli incontri di Mosca?
Considerazioni economiche
Nelle ultime due settimane, la volatilità dei mercati globali è aumentata notevolmente, in seguito allo stress delle banche regionali statunitensi e all’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. A marzo, le azioni bancarie hanno perso il 15% e i rendimenti dei titoli di stato americani a breve termine sono calati dell’1%. I mercati stanno rapidamente prezzando due eventi: la recessione e lo stress bancario.
Si prospetta probabilmente un rallentamento economico. L’analisi storica suggerisce che una volatilità dei titoli bancari simile a quella registrata a marzo porta a una contrazione nell’erogazione di prestiti tale da ridurre la crescita del PIL di qualche decimale, a meno che non venga compensata da interventi politici. Una lieve contrazione (quantomeno) negli Stati Uniti e in Europa è quindi molto più probabile di quanto si pensasse fino a poche settimane fa. Ne consegue un graduale rallentamento dell’inflazione, che giustifica un atteggiamento più accomodante delle banche centrali, e un certo rallentamento nelle aspettative sugli utili. Tassi e quotazioni azionarie in calo sono quindi giustificati.
Sebbene la situazione rimanga molto fluida, tuttavia questi timori potrebbero essere ingiustificati. Il settore bancario, soprattutto in Europa, è più forte che mai, con coefficienti patrimoniali elevati, attivi di qualità elevata e una vigilanza molto attenta. Negli Stati Uniti, la volatilità è limitata alle banche regionali, il che comporta un inasprimento degli standard di credito, ma nessun rischio sistemico. Nel complesso, stanno emergendo alcune criticità in seguito al restringimento incredibilmente rapido delle condizioni monetarie, ma i mercati potrebbero aver tratto conclusioni troppo affrettate in merito alle implicazioni degli sviluppi recenti sugli spread creditizi.
Nel complesso la principale implicazione degli eventi in corso è l’aumento delle probabilità di un rallentamento economico e di una discesa più rapida dell’inflazione. Ciò significa maggiori rischi di ribasso per le azioni e minori rischi di rialzo per i tassi.
Osservazioni sugli investimenti
Proviamo ad ipotizzare alcuni scenari per i prossimi mesi a seguito dei recenti eventi:
- la Fed e la Bce continuano ad aumentare i tassi ad un ritmo rapido. Questo scenario sarebbe positivo per il dollaro. Inizialmente, questi rapidi aumenti dei tassi sarebbero negativi per le Tuttavia, a un certo punto, gli investitori si aspetterebbero una grave recessione, che li porterebbe ad accumulare obbligazioni. In questo scenario, le azioni probabilmente diminuirebbero nel breve termine e fornirebbero un eccellente punto di ingresso. La liquidità sarebbe un’alternativa interessante nel breve termine;
- la Fed e la Bce continuano ad aumentare i tassi, ma a un ritmo più moderato. Le obbligazioni diminuiscono lentamente ma per lungo tempo, perché i piccoli aumenti dei tassi non fanno presagire una recessione con la stessa certezza degli aumenti dei tassi andrebbero dello scenario In questo scenario, le azioni probabilmente continuerebbero a salire. In un contesto inflazionistico su base persistente, le azioni tendono a ottenere risultati migliori rispetto alle obbligazioni. Visto l’inflazionato mercato immobiliare degli Stati Uniti, i grandi deficit fiscali e la scena politica negli Stati Uniti Stati Uniti (le elezioni del 2024), questo scenario è più probabile di quello precedente;
- la Fed si imbarca a breve in un allentamento delle politiche monetarie e taglia di nuovo a circa il 2% il costo del denaro. In questo caso saremmo di fronte ad una recessione e a una debolezza economica immediata, che porterebbe ad un crollo dell’inflazione. In questo caso le obbligazioni a lungo termine si rafforzano maggiormente. Questo scenario è indiscutibilmente favorevole ai titoli di stato, molto meno al dollaro e alle azioni i cui guadagni sarebbero
Due scenari su tre sono favorevoli alle obbligazioni, ma forse quello più probabile ad oggi è il secondo, favorevole alle azioni.
Ma cosa succede se Usa e Cina tradiscono la nostra fiducia e si avvicina l’ipotesi di una terza guerra mondiale? Questo scenario è marginale, possiamo attribuirgli una probabilità molto bassa, ma in questo caso quello che si possiede è meno importante di dove lo si possiede. Le guerre sono spesso accompagnate da massicce insolvenze sul debito. Pertanto in uno scenario di terza guerra mondiale è meglio avere azioni che obbligazioni. Gli scenari di guerra tendono ad essere rialzisti per le materie prime.
Con o senza guerra, tassi d’interesse più alti offrono comunque opportunità d’investimento. Sia su obbligazioni con tassi costantemente più elevati, sia su azioni che offrono punti d’ingresso più interessanti.
Elias Canetti in “Massa e potere” (libro del 1960 per il quale ha vinto il premio Nobel per la letteratura) scrisse: “Si può dire che, a parte le guerre e le rivoluzioni, non c’è niente nella nostra civiltà moderna che è paragonabile per importanza all’inflazione. Gli sconvolgimenti causati dall’inflazione sono così profondi che la gente preferisce metterli a tacere e nasconderli”.