Il lavoratore che si trova in uno stato di malattia è comunque tenuto al rispetto dei principi di correttezza (art. 1175 c.c), di buona fede (art. 1375 c.c), di diligenza (art. 2104 c.c) e di fedeltà (art. 2105 c.c) nei confronti del proprio datore di lavoro. Se viola queste regole soggiace all’azione disciplinare.
Il problema che si pone in questi casi è quello di capire se la condotta posta in essere dal lavoratore durante la malattia, sia tale da ledere il vincolo fiduciario con il proprio datore di lavoro e se possa quindi portare di conseguenza, al licenziamento disciplinare del dipendente. La valutazione della condotta deve essere fatta ex ante, in relazione alla patologia lamentata ed alle mansioni svolte dal lavoratore. Ne consegue che lo svolgimento di un’altra attività durante la malattia può portare al licenziamento:
quando l’ulteriore attività svolta dal dipendente sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza stessa della malattia;
quando l’ulteriore attività svolta dal dipendente possa pregiudicare o ritardare la guarigione e con essa il rientro in servizio.
L’art. 5 della legge n. 604/1966, pone a carico del datore di lavoro l’onere di provare tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie che giustifica il licenziamento e, dunque, fornire la prova di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato.
Circa la difficoltà, da parte del datore di lavoro, di fornire tali prove, si segnalano due recenti e interessanti pronunciamenti della Corte di Cassazione.
Corte di Cassazione Ordinanza n. 23747 del 04-09-2024
Con tale provvedimento la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità di un licenziamento intimato da un’azienda ad un proprio lavoratore che, seppur assente per malattia/infortunio dall’azienda, era stato trovato all’interno del bar di sua proprietà a svolgere varie attività. Il lavoratore aveva in sostanza utilizzato più volte la mano infortunata, sia per effettuare attività leggere (come fumare, utilizzare il telefono cellulare, mantenere documenti ed altro), sia per effettuare attività lavorative più pesanti (come aprire e chiudere la porta del locale, sollevare delle sedie e tavoli, caricare e scaricare masserizie dall’autovettura) ed era stato pertanto licenziato dall’azienda. Gli accertamenti erano stati effettuati attraverso una telecamera puntata sull’ingresso dell’esercizio commerciale.
Nella maggior parte dei fotogrammi si vedeva il lavoratore svolgere in realtà delle attività del tutto prive di rilevanza. Solo in quattro episodi si notava che lo stesso svolgeva attività di cui alla lettera di contestazione disciplinare, che però, in quanto svolte a distanza di circa sette mesi dall’infortunio (consistito nella distorsione di due dita della mano), ed a pochi giorni dalla fine del periodo di diagnosticata inabilità, non erano tali da incidere o pregiudicare la guarigione. La Corte ha quindi considerato il licenziamento intimato dall’azienda come
ingiustificato.
Corte di Cassazione Ordinanza n. 23858 del 05-09-2024
Con questo provvedimento la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento di una dipendente in malattia che, secondo il datore di lavoro, aveva simulato la malattia stessa. Il datore di lavoro aveva fatto seguire la dipendente da un investigatore privato, il quale aveva trovato la lavoratrice mentre, nei due giorni di malattia, era seduta in una sala bingo e faceva shopping in un centro commerciale.
Secondo la Cassazione in questo caso manca, sia la prova che la malattia fosse simulata e che quindi la lavoratrice fosse in malafede (secondo la Corte non sono sufficienti le evidenze dell’investigatore privato ma occorre anche l’effettuazione della visita medico-fiscale), sia la prova che comunque l’attività svolta dalla lavoratrice, fosse tale da pregiudicare o da ritardare la guarigione. Secondo la Corte infatti, le attività svolte dalla lavoratrice sono marginali, come andare a fare la spesa, e non possono ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, il tutto svolto al di fuori degli orari di reperibilità. Anche l’attività ludica effettuata è stata effettuata dalla lavoratrice al di fuori degli orari di reperibilità. Può infatti capitare (osserva la Corte) che la patologia del lavoratore/lavoratrice impedisca allo stesso di svolgere le mansioni a lui assegnate in azienda, ma che le residue capacità psico-fisiche gli consentano di svolgere altre attività. Anche in questo caso quindi il licenziamento è stato dichiarato illegittimo.
IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE, DURANTE LA MALATTIA, SVOLGE ALTRE ATTIVITA’: ULTIMI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
13
Set