L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 5/E del 2024, è intervenuta in materia di fringe benefits fornendo specifiche indicazioni sull’applicazione dei nuovi limiti relativi al valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori (si veda sul punto anche la nostra circolare n. 17/2024).
I NUOVI LIMITI DI ESENZIONE PER IL 2024
L’art. 1 comma 16 della Legge di Bilancio 2024, nel tentativo di attenuare le disparità di trattamento tra lavoratori con e senza figli, dispone la non concorrenza alla formazione del reddito da lavoro dipendente di cui all’art. 51 comma 3° del TUIR entro il limite complessivo di 1.000 euro (anziché 258,23 euro), del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori, nonché delle somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.
Per i lavoratori dipendenti con figli a carico, il limite complessivo di esenzione è posto a 2.000 euro in riferimento alle medesime tipologie di benefits.
SPESE RELATIVE ALLA PRIMA CASA: LE SPECIFICAZIONI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Come per l’anno scorso l’ambito applicativo della norma consente di ricomprendere tra i fringe benefits le somme erogate o rimborsate ai lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. Tuttavia, per l’anno 2024, il datore di lavoro può erogare direttamente o rimborsare al lavoratore, anche le somme destinate all’affitto della prima casa o quelle per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.
In assenza di una precisa definizione contenuta nella norma, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che per la nozione di “prima casa” rilevi la nozione di “abitazione principale” prevista per l’applicazione delle detrazioni di cui agli art. 15, comma 1, lettera b) e art. 16 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).
Le spese devono inoltre riguardare immobili ad uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, nel quale il dipendente o i suoi familiari indicati nell’art. 12 del TUIR dimorino abitualmente, a condizione che ne sostengano effettivamente le spese.
Ad ulteriore precisazione, ancorchè parte contrattuale sia il coniuge o altro familiare, fra quelli indicati nell’art. 12 del TUIR del lavoratore, l’Agenzia considera rimborsabili, nel rispetto dei limiti citati, sia le spese sostenute per un contratto di affitto, sia quelle relative agli interessi sul mutuo, a condizione che l’immobile locato o su cui grava il mutuo, costituisca l’abitazione principale del lavoratore (art. 15, comma 1 lettera b e art. 16 comma 1 quinquies del TUIR).
Con particolare riguardo alla locuzione “spese per l’affitto”, si ritiene che debba farsi riferimento al canone risultante dal contratto di locazione regolarmente registrato e pagato nell’anno.
Le somme rimborsate dal datore di lavoro non potranno essere portate in detrazione nella dichiarazione dei redditi del lavoratore.
ONERI DOCUMENTALI
Il datore di lavoro è tenuto ad acquisire ed a conservare, per eventuali controlli, la documentazione che giustifica le somme spese o rimborsate e la loro inclusione nei limiti di non imponibilità previsti dalla norma.
In alternativa (e si ritiene preferibilmente), il datore di lavoro può acquisire una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dal lavoratore ai sensi del D.P.R n. 445/2000 che attesti il ricorrere, in capo al medesimo dichiarante, dei presupposti previsti dalla norma in esame. L’Agenzia delle Entrate ha in passato precisato (circolare n. 35/E/2022, ma tali disposizioni si considerano tutt’ora valide) che il lavoratore è tenuto a dichiarare di essere in possesso della documentazione comprovante il pagamento delle utenze domestiche, di cui riporti gli elementi necessari per identificarle, quali ad esempio il numero e l’intestatario della fattura (e se diverso dal lavoratore, il rapporto intercorrente con quest’ultimo), la tipologia di utenza, l’importo pagato, la data e le modalità di pagamento; inoltre l’indicazione che tutta la documentazione indicata nella predetta dichiarazione sostitutiva, è conservata dal lavoratore stesso in caso di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Nella dichiarazione sostitutiva il lavoratore dovrà poi precisare che le somme non siano già state oggetto di richiesta di rimborso, totale o parziale, non solo presso il medesimo datore di lavoro, ma anche presso altri.
DETERMINAZIONE DEL VALORE DEI PRESTITI CONCESSI AI DIPENDENTI
Per quanto riguarda i prestiti concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti, vi rientrano tutte le forme di finanziamento comunque erogate da datore di lavoro, indipendentemente dalla loro durata e dalla valuta utilizzata, ivi compresi i finanziamenti concessi da terzi con i quali il datore di lavoro stipuli accordi o convenzioni, anche in assenza di oneri specifici da parte di quest’ultimo.
In merito quindi alla tassazione dei prestiti concessi ai dipendenti, l’importo che concorre valla formazione del reddito è pari alla metà del valore determinato dalla differenza tra gli interessi calcolati al Tur (Tasso Ufficiale di Riferimento) e quelli calcolati a tasso effettivamente praticato sui prestiti. A tal riguardo, i DL n. 145/2023 ha previsto che:
- per i prestiti a tasso variabile si deve prendere a riferimento il Tur vigente alla data di scadenza di ciascuna rata;
- per i prestiti a tasso fisso il Tur da considerare è quello vigente alla data di concessione del prestito, ovvero alla data di stipula del contratto di accollo/subentro/rinegoziazione/surroga de mutuo.