LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI ALLA GESTIONE DELLE IMPRESE: GLI STRUMENTI ATTUALMENTE A DISPOSIZIONE

In questo ultimo periodo si è molto parlato della partecipazione dei lavoratori in azienda, anche e soprattutto a seguito dell’approvazione, da parte della Camera dei deputati, di una proposta di legge di iniziativa popolare (proposta che è ora all’esame del Senato della Repubblica).
Ma, in attesa dell’entrata in vigore della nuova legge, proviamo ad analizzare gli strumenti che la normativa, già oggi in vigore, mette a disposizione dei lavoratori per contribuire e per partecipare sempre di più alla vita aziendale. Gli strumenti a disposizione sono sostanzialmente due: l’azionariato diffuso e il riconoscimento del premio di risultato sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.
L’AZIONARIATO DIFFUSO
L’incentivazione diffusa dell’azionariato tra i lavoratori è sempre stato oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore che, nella regolamentazione fiscale, ha optato nella collocazione di questo strumento, tra quelle somme che non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente.
In particolare, in deroga al principio generale di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, l’art. 51 lettera g) del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi) prevede la non imponibilità (fiscale e previdenziale) del valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore, complessivamente nel periodo d’imposta, a € 2.065,83, a condizione che tali azioni non vengano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro, o comunque cedute, prima che siano trascorsi almeno 3 anni dalla percezione.
Il particolare regime di esenzione, nei limiti di cui sopra, ai sensi del comma 2 bis, trova applicazione con riferimento alle sole azioni emesse:
• dall’impresa con la quale il lavoratore intrattiene il rapporto di lavoro;
• da società che, direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.
Inoltre, l’esenzione fiscale e contributiva è subordinata alla presenza ed al rispetto di tre profili.
Un profilo soggettivo
L’esenzione spetta a condizione che l’offerta dei titoli azionari riguardi la “generalità dei dipendenti” e non anche, come per altre casistiche di welfare aziendale, loro categorie o, addirittura, come per i fringe benefits, singoli soggetti.
Un profilo quantitativo
L’agevolazione riguarda, come limite massimo di valore dell’offerta di azioni, “un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a € 2.062,83”.
Tale somma deve essere valutata, nel caso di offerte multiple, singolarmente per ciascun periodo d’imposta (1° gennaio-31 dicembre).
Un profilo temporale
Il comma 2 bis dell’art. 51 vincola il particolare regime di esenzione esclusivamente al verificarsi congiuntamente delle seguenti condizioni:
• che l’opzione (l’opzione è il diritto spettante agli azionisti che prevede la prelazione per la sottoscrizione di nuove azioni in occasione di operazioni di aumento del capitale sociale) sia esercitabile non prima che siano scaduti 3 anni dalla sua attribuzione;
• che, al momento in cui l’opzione è esercitabile, la società risulti quotata in mercati regolamentati;
• che il beneficiario mantenga per almeno i 5 anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente. Qualora detti titoli oggetto dell’investimento siano ceduti o dati in garanzia prima che siano trascorsi 5 anni dalla loro assegnazione, l’importo che non ha concorso a formare il reddito di lavoro dipendente al momento dell’assegnazione è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione ovvero la costituzione in garanzia.
Ai fini antielusivi la norma in esame impone ai lavoratori beneficiari delle azioni un periodo minimo di possesso dei titoli ricevuti, pena l’imponibilità dell’intero valore ricevuto; tale periodo è pari ad “almeno tre anni dalla percezione”.
IL RICONOSCIMENTO DEL PREMIO DI RISULTATO SOTTO FORMA DI PARTECIPAZIONE AGLI UTILI
Un ulteriore strumento di partecipazione alla vita aziendale da parte dei lavoratori è il premio di risultato riconosciuto sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.
Questa misura è stata prevista dalla legge di Stabilità 2016 che ha previsto l’applicazione di un’imposta sostitutiva all’Irpef e alle addizionali comunali e regionali al 10% (5% per il triennio 2025-2027).
Tale modalità di valorizzazione della retribuzione è prevista dall’art. 2099 c.c, il quale prevede che il prestatore di lavoro possa essere retribuito, in tutto o in parte, mediante partecipazione agli utili d’impresa.
Per quanto riguarda la valorizzazione dell’utile, salvo diversa previsione, la quota spettante al prestatore di lavoro è determinata in base agli utili netti dell’impresa e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato. Non si tratta quindi dell’attribuzione di quote di partecipazione al capitale sociale, bensì della modalità di erogazione della retribuzione, prevista dal libro V° del Codice Civile, secondo la quale il prestatore di lavoro può essere retribuito in tutto o in parte anche con la partecipazione agli utili.
Con la circolare n. 28/E/2016 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in base alla formulazione della norma e del DM 25 marzo 2016, “la partecipazione agli utili dell’impresa costituisce una fattispecie distinta dalla corresponsione dei premi di produttività ed è quindi ammessa all’agevolazione a prescindere dagli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione”, che devono invece ricorrere in caso di corresponsione dei premi di risultato.
Per quanto riguarda l’ammontare delle somme assoggettate a beneficio fiscale, le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa, sono assoggettabili ad imposta sostitutiva entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi annui; si ricorda che tale limite è riferito al singolo lavoratore per ciascun periodo d’imposta, con la conseguenza che concorrono al raggiungimento di tale limite massimo tutti i premi di risultato percepiti dal dipendente nell’anno, anche se sotto forma di partecipazione agli utili o di benefits detassati, a prescindere dal fatto che siano erogati in base a contratti diversi o da diversi datori di lavoro o che abbiano avuto differenti momenti di maturazione.