LA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO IN EMILIA

Premessa

Sul miglioramento della salute e sicurezza sul lavoro si dovrebbe operare unicamente a partire dai dati. Tale consapevolezza è fatta propria del legislatore, dato che anche la recente legge 215/21 (di conversione del DL 146/21) prevede l’ennesimo rilancio del SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione), che dovrebbe essere la base da cui partire per pianificare la vigilanza e gli interventi finalizzati a sostenere la promozione della cultura della prevenzione, per andare oltre le ispezioni, che non si possono immaginare come “la soluzione” al problema. Lo stesso Piano Nazionale per la Prevenzione evidenzia l’urgenza di sviluppare l’interoperabilità dei sistemi informativi esistenti finalizzata al dialogo tra le varie banche dati.

Purtroppo, come ben sappiamo, non basta una legge affinché le cose cambino e si teme che, ancora nel 2022 e negli anni a seguire, prevalga la non volontà a collaborare delle diverse pubbliche amministrazioni competenti, che, sinora, hanno di fatto condotto al boicottaggio del SINP, già previsto nel 2008. L’alibi addotto per giustificare questo atteggiamento attiene al rispetto della normativa sulla privacy , che dovrebbe essere superato a seguito dell’approvazione del d.lgs.139/21 , che prevede che qualsiasi trattamento svolto da una pubblica amministrazione “è sempre consentito se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri a essa attribuiti” (art. 2ter comma 1 bis).

Un secondo aspetto di debolezza del sistema è la mancanza di sinergia tra gli enti in grado di dare informazioni sulle condizioni di salute dei lavoratori e delle lavoratrici : la pandemia ci ha fatto (ri)scoprire il concetto di “fragilità” e, dunque, è necessario che si colga la proposta del CIIP[1] in merito all’integrazione del SINP con tutti i dati utili per fare prevenzione, con particolare riferimento a quelli relativi alle schede di dimissione ospedaliera, ai flussi INPS, ai dati sugli incidenti stradali (depositati nell’osservatorio del traffico) e alle informazioni prodotte dalle casse edili e dagli altri organismi paritetici (ad es. sulla formazione effettuata). A tal proposito, non va dimenticato che la Regione Emilia Romagna , unica in Italia, s’è dotata di un proprio Sistema Informativo per la Prevenzione Regionale (SIRP), che può essere, certamente, di grande importanza, soprattutto se condiviso con le associazioni datoriali e i sindacati.

Un terzo elemento di debolezza del SINP è di averlo progettato unicamente come piattaforma di dialogo e scambio di informazioni inter – istituzionale, senza prevederne esplicitamente l’apertura a tutti i soggetti interessati ed, in particolare, alle parti sociali e, soprattutto, agli organismi paritetici, soggetti che lo stesso d.lgs.81/08 riconosce come di facilitazione della salute e sicurezza sul lavoro, specie in contesti caratterizzati da elevata frammentazione produttiva.

Allo stato, nel migliore dei casi le parti sociali  dovrebbero ricevere dal SINP solamente dati aggregati, senza avere la possibilità di ottenere informazioni sulle quali effettuare elaborazioni utili per orientare la propria azione e collaborare con le Istituzioni per elevare l’impatto effettivo delle politiche pubbliche poste in campo. In epoca di overload e di fake news le informazioni dovrebbero essere considerate alla stregua di “beni comuni”, destinate a tutti coloro che intendono “scendere in campo” per il miglioramento della situazione presente.

Ogni tipo di intervento, sia di vigilanza che di prevenzione, dovrebbe, dunque, essere orientato dai dati.

Le sfide per la salute e sicurezza sul lavoro

Il nostro Paese , a differenza della maggior parte degli Stati componenti l’UE, è privo di una propria strategia nazionale relativa alla salute e sicurezza sul lavoro, benché la stessa Unione se ne sia data una propria, applicativa degli impegni assunti nell’ambito del pilastro europeo dei diritti sociali. Peraltro, la strategia europea adotta un approccio tripartito, basato sul coinvolgimento attivo delle istituzioni dell’UE, degli Stati membri e delle parti sociali  e si concentra su tre priorità chiave:

  • anticipare e gestire il cambiamento nel contesto della transizione verde, digitale e demografica;
  • migliorare la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e adoperarsi per raggiungere un approccio «Visione Zero» rispetto alla mortalità connessa al lavoro;
  • aumentare la preparazione per rispondere alle crisi sanitarie attuali e alle eventuali future, in linea con gli apprendimenti conseguenti all’emergenza Covid19.

Come ben compreso a livello europeo, dotare il nostro Paese di una propria visione sarebbe ancor più necessario a fronte delle tre grandi sfide che stiamo già affrontando e i cui effetti dovremmo fronteggiare ancora di più nel prossimo futuro, ed in particolare :

  • la transizione digitale : è oramai eclatante la necessità di prevedere regole specifiche per il lavoro effettuato ricorrendo alle nuove tecnologie, caratterizzato da luoghi e orari di lavoro fluidi, affrancati dalle classiche nozioni normative e che necessitano di una disciplina specifica in grado di regolamentare le nuove esigenze di salute e sicurezza : l’ormai vecchia direttiva europea sull’uso dei videoterminali (già recepita dalla “626” e, oggi, contenuta nel d.lgs.81/08) è da riscrivere, tenendo conto che già oggi tutti noi lavoriamo ricorrendo a molti strumenti non specificatamente normati (smartphone, tablet, cobot …). Insomma, il cambiamento in corso sta mutando radicalmente la dimensione spaziotemporale dei luoghi di lavoro. Tra le diverse variabili in campo da considerare con attenzione v’è l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel lavoro. Gli algoritmi funzionano principalmente come sistemi finalizzati a favorire l’incremento della produttività e della qualità nei processi, essendo, però, associati a preoccupazioni (da parte dei lavoratori e dell’opinione pubblica) e a possibili nuovi rischi professionali, conseguenti all’aumento della pressione temporale e al timore che vi sia un’estensione della possibilità di controllare che vada oltre ciò che oggi è possibile. Tra le questioni che necessitano norme specifiche v’è, certamente, il lavoro attraverso piattaforme, stante che la sostanziale assenza di discipline lavoristica e relativa alla salute e sicurezza sul lavoro può comportare condizioni di concorrenza sleale nei confronti delle imprese che, nello stesso mercato, offrono gli stessi beni e servizi in sede fisica. Un’occasione che può essere utilizzata a tal fine è costituita dal recepimento della normativa comunitaria sul diritto alla trasparenza dei dati forniti ai lavoratori (direttiva UE 2019/1152) per vincolare anche le piattaforme che offrono lavoro a dare perlomeno informazioni corrette in merito ad alcuni dati che qualificano il rapporto di lavoro anche sotto il profilo della regolarità e della salute e sicurezza, ad esempio : l’identità delle parti ivi compresa quella di eventuali co-datori; la sede o il domicilio del datore di lavoro; l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore o, in alternativa, le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro; la data di inizio del rapporto di lavoro; la tipologia di rapporto di lavoro, precisando in caso di rapporti a termine la data di conclusione o la durata dello stesso; la durata del periodo di prova, se previsto; il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro, anche quella relativa alla salute e sicurezza sul lavoro; la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile; informazioni sulla variabilità della programmazione del lavoro; il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia consentito dalla tipologia contrattuale in uso e sia stato pattuito, il termine entro cui il datore di lavoro può annullare l’incarico; il contratto collettivo, anche aziendale, applicato al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto.
  • la transizione ecologica: è in atto una rivoluzione culturale profonda, che riguarda anche il mondo delle imprese nel suo complesso, che si muove sul cammino della conoscenza scientifica e tecnologica, con il fine di ridurre la pressione e l’impatto delle diverse attività economico – produttive sulle matrici ambientali. Dobbiamo esserne consapevoli e raccogliere questa come una sfida per migliorare la vita sociale e lavorativa. All’imprenditore, che dovrà riconvertire la propria azienda in prospettiva green o che vorrà avviare una nuova attività, sarà richiesta una grande responsabilità sociale che, però, sta diventando condizione per accedere con il proprio prodotto al mercato globale. Il lavoratore sarà, invece, chiamato a riconvertirsi a nuove mansioni e a un nuovo modo di operare, a nuove metodologie organizzative, all’impiego delle nuove tecnologie, di nuovi materiali, di nuove attrezzature. Sarà quindi esposto a nuovi rischi, in alcuni casi caratterizzati da livelli inferiori a quelli correlati ai rischi tradizionali, ma comunque diversi, e dovrà quindi essere formato per poterli affrontare consapevolmente. L’installazione di un sistema di pannelli solari per la produzione di acqua calda, ad esempio, richiede la combinazione delle competenze di un conciatetti, di un idraulico e di un elettricista, con conseguenti rischi interferenziali, da valutare e su cui intervenire in termini di prevenzione. È da considerare che il cambiamento porterà all’introduzione di nuove tecnologie, nuove sostanze chimiche (ad es. tellururo di cadmio – CdTe per i pannelli fotovoltaici, muffe ed endotossine nel caso di stoccaggio ed uso di biomasse a fini energetici) e procedimenti di lavoro, nuove forme di occupazione e di organizzazione del lavoro. La velocità alla quale l’”economia verde” è destinata a espandersi potrebbe determinare carenze in termini di competenze, poiché lavoratori inesperti potrebbero essere coinvolti in procedure per cui non sono stati adeguatamente formati, mettendo così a repentaglio la loro sicurezza e la loro salute.
  • la transizione demografica : le dinamiche demografiche in atto, accentuate nella nostra regione rispetto alla media del Paese, evidenziano un invecchiamento della popolazione lavorativa che non può non comportare un adeguamento della prevenzione aziendale. Una nuova visione è fornita dall’importante documento della Commissione UE “Industria 5.0: verso un’industria più sostenibile, resiliente e incentrata sulla persona”, particolarmente rilevante, perché segna l’inizio di un processo di condivisione con tutte le parti interessate. Il lavoratore non è più da considerare come un “costo”, bensì come un asset su cui ogni azienda deve investire al fine di raggiungere i propri obiettivi, accrescendone le competenze, la capacità di agire nei contesti operativi ed in emergenza e il benessere organizzativo. Un prerequisito importante per l’Industria 5.0 è che la tecnologia sia al servizio delle persone piuttosto che il contrario. In un contesto industriale, significa che la tecnologia utilizzata in produzione deve essere adattata alle esigenze e alla diversità dei lavoratori e delle lavoratrici (approccio ergonomico). Un ambiente di lavoro inclusivo è la precondizione per richiedere ai lavoratori una maggiore assunzione di responsabilità e una maggiore partecipazione al miglioramento continuo del prodotto e del servizio. Il potenziale della tecnologia robotica è ben lungi dall’essere esaurito, soprattutto se alimentato con intelligenza artificiale. Tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, così come gli strumenti di realtà virtuale e aumentata, possono essere utilizzati per supportare il lavoratore a realizzare compiti specializzati. Allo stesso modo, i robot mobili e gli esoscheletri hanno il potenziale per ridurre il carico fisico di talune attività. Questo può consentire alle donne di assumere compiti che prima erano riservati agli uomini a causa della forza fisica richiesta. La sicurezza e il benessere dei lavoratori non significa solo garantire e sostenere la loro salute fisica sul posto di lavoro. Bisogna considerare la salute mentale e il benessere su un piano di parità nella progettazione di luoghi di lavoro digitalizzati. Secondo l’OMS, i problemi di salute psicologica come la depressione e l’ansia hanno un costo stimato per il mondo economia di 1 trilione di dollari all’anno in termini di perdita della produttività. Si stima, inoltre, che ciascuno dollaro investito in salute psico – sociale ha un ritorno di 4 dollari per l’impresa, in termini di maggiore produttività e qualità.

L’invecchiamento al lavoro sollecita un ruolo diverso da parte del medico competente che, in linea con quanto già previsto dalla legge, deve partecipare proattivamente alla valutazione dei rischi, proponendo soluzioni per migliorare l’integrazione tra persona, ambiente di lavoro e tecnologie. Se in sede di sorveglianza sanitaria il medico competente deve ricorrere a giudizi di idoneità con prescrizioni o limitazioni è necessario che queste ultime siano realmente applicabili dai datori di lavoro e dai preposti, cosa che non sempre si verifica.

Nel complesso, è bene dire con chiarezza che non è possibile avere una prevenzione di qualità se non vi sarà un’assunzione di responsabilità diversa da parte dei consulenti datoriali (RSPP e medico competente), il cui approccio è frequentemente tendenzialmente solamente adempitivo.

Dati nazionali

La produzione di statistiche inerenti gli infortuni sul lavoro è, oggi, complessa, a fronte della scelta compiuta di INAIL di considerare come tali le infezioni Covid19 contratte al lavoro, diversamente da quanto previsto in altri paesi UE [2]. Da gennaio 2020 a marzo 2022 sono state ben 245.392 le denunce di infortunio “covid19” in Italia.

Ciò che si può dire sinteticamente è che :

  • v’è stata una significativa contrazione degli infortuni denunciati e riconosciuti negli ultimi dieci anni (nel medio periodo si è assistito ad un miglioramento rilevante);
  • la curva degli ultimi cinque anni tende ad appiattirsi, conseguenza del rallentamento del miglioramento manifestatosi tra il 2010 e il 2015;
  • gli infortuni gravi T40 (con almeno quaranta giorni di prognosi, compresi quelli invalidanti e mortali) sono sostanzialmente stabili, su un valore sopra i 100.000, senza che se ne intraveda una sostanziale decrescita;
  • non v’è stato l’auspicato disaccoppiamento tra crescita economica e fenomeno infortunistico (quando il PIL aumenta, gli infortuni seguono lo stesso trend).

A tal proposito si veda la tabella 1, frutto di elaborazione di dati nazionali INAIL (per il 2021 al momento abbiamo solamente il numero provvisorio delle denunce effettuate).

[1] Consulta Interasociativa Italiana per la Prevenzione

[2] Eurostat, Possibility of recognising COVID-19 as being of occupational origin at national level in EU and EFTA countries (2021). Nell’UE solo Italia, Slovenia e Spagna riconoscono il Covid19 contratto al lavoro come infortunio. Nella maggior parte degli altri Stati membri è considerata malattia professionale (Francia, Bulgaria, Croazia, Cipro, Estonia, Polonia, Portogallo, Svezia, Slovacchia, Olanda, Lettonia, Lituania, Romania, Cechia). In Germania e Belgio può essere considerata come infortunio sul lavoro o malattia professionale a seconda degli specifici criteri nazionali

Tabella 1 – andamento infortunistico 2010-2021

Il 2015 sembra un anno spartiacque : la ripresa economica post crisi del 2008-09 sembrava mettere le ali, sostenuta dal basso prezzo del petrolio, dalla svalutazione dell’euro, dalla discesa costante dei tassi di interesse e dal perdurare delle politiche di espansione della massa monetaria della Bce. In certa misura è confermata la teoria secondo la quale la crescita economica trascina con sé quasi inevitabilmente un aumento del fenomeno infortunistico. L’impressione è che non si sta assistendo al previsto e necessario disaccoppiamento tra aumento del PIL e degli infortuni.

L’andamento sopra descritto si conferma anche se si escludono gli infortuni avvenuti su strada e nella pubblica amministrazione (alcuni dei quali sono di studenti nei laboratori scolastici e della formazione professionale). Anzi, si può notare una inquietante ripresa degli accadimenti nei luoghi di lavoro, come ben dimostrato dalla tabella 2, che nel 2020 è certamente addebitabile a Covid-19.

Tabella 2 – andamento infortuni depurato da quelli stradali e nella p.a.

La misura di incidenza dimostra una situazione più favorevole, dato che il tasso di infortuni sul lavoro è passato da 28,31 casi ogni 1.000 lavoratori del 2010 a 17,45 casi ogni 1.000 lavoratori nel 2020, conseguenza anche di un incremento della base occupazionale che ha riguardato, in particolare, comparti a minor rischio.

Benché ogni morte sul lavoro risulti comunque inaccettabile, un altro aspetto meno negativo del previsto, malgrado la comprensibile concentrazione dei media su questa tipologia di eventi, è costituito dalla diminuzione degli infortuni mortali, passati da 4,6 casi ogni 100.000 lavoratori nel 2010 a 2,8 ogni 100.000 lavoratori nel 2020. Colpisce che le cause più frequenti di infortunio mortale siano sostanzialmente le medesime dall’invenzione del lavoro ai giorni nostri, ovvero : la caduta dall’alto e la caduta di materiali dall’alto, come se non si fosse stati in grado nel corso del tempo di evitare accadimenti delle cui dinamiche oramai si conosce tutto. Non a caso, recentemente la Commissione UE è intervenuta proprio su questi rischi con la sua Decisione delegata (UE) 2019/1764 del 14 marzo 2019

Fa riflettere la maggiore frequenza di talune condizioni che conducono all’infortunio, ed in particolare : errori di procedura, uso errato di attrezzature e uso improprio di attrezzature. Mentre nei primi due casi si palesa un deficit rilevante nella formazione e nell’addestramento, che si è cercato di colmare almeno in parte con gli misure previste dalla legge 215 del 2021; per quel che riguarda la terza fattispecie si rileva la necessità di migliorare la prevenzione nelle aziende, questione invece non sistematicamente affrontata dalla legge 215, che pare promuovere la filosofia secondo cui una maggiore salute e sicurezza sul lavoro si conseguirà prevalentemente con un aumento delle ispezioni e delle correlate sanzioni, in sostanziale controtendenza con lo spirito della normativa settoriale (è prevalso un approccio repressivo). Si ricorre a una retorica molto presente nel dibattito odierno : risolvere problemi complessi con soluzioni semplici, strategia che quasi mai consegue esiti di miglioramento della situazione data.

È assai difficile, come ben messo in rilievo anche dalla CIIP, che le condizioni a cui si faceva riferimento più sopra (utilizzo inappropriato , errori procedurali, errori nell’uso delle attrezzature) possano essere colte durante un’ispezione “tradizionale”, a meno che l’intervento non si verifichi a infortunio avvenuto, quando il sistema ha, dunque, già fallito.

Una via diversa (soluzioni complesse a fronte di problemi complessi) è quella di smettere di vedere la salute e sicurezza sul lavoro solo come un fastidioso onere burocratico o come una questione “da tecnici” , atteggiamento diffuso più di quel che sarebbe auspicabile tra manager e sindacalisti. Ciò richiederebbe una raccolta degli eventi sentinella (ad es. i mancati infortuni), l’analisi sistematica degli eventi anche solo sfiorati e la partecipazione organizzativa dei lavoratori (sia in fase di segnalazione delle condizioni di insicurezza, che di proposte di miglioramento). La necessità di dare priorità agli interventi “dal basso” è ancor più urgente a fronte dell’eterogeneità delle situazioni, per talune variabili di cui non è possibile non tenere conto tra cui la dimensione d’impresa, la presenza di lavoratori autonomi e dei meno stabili (somministrati, tempi determinati, stagionali …), le differenti probabilità di accadimento in relazione agli specifici comparti (es. costruzioni, agricoltura), la presenza di appalti e di subappalti.

Le riunioni periodiche ex art.35 del d.lgs.81/08 devono essere vissute ed organizzate ovunque non come un fastidioso onere burocratico, ma come una grande occasione che viene data ad ogni aziende di rivedere la propria valutazione dei rischi e migliorare le misure di prevenzione e protezione.

Le malattie professionali denunciate in Italia nel periodo 2015-19 sono state 297.764, in aumento del 4% rispetto al quinquennio precedente. Il fenomeno  non è all’attenzione dell’opinione pubblica quanto lo sono gli infortuni ed è necessario agire perché emerga e vi sia un pieno sostegno e cure adeguate per tutti i tecnopatici. È sicuramente vero che le malattie professionali di “nuova generazione” sono meno facili da riconoscere , in quanto dovute al sommarsi di concause di origine professionale ed extra –  professionale (che sono definite dallo stesso Piano nazionale per la prevenzione “stili di vita”). Fare prevenzione relativamente all’emersione del fenomeno significa, quindi, assumere un approccio a trecentosessanta gradi, con la promozione di comportamenti e atteggiamenti volti alla salute (ad esempio : disintossicazione da fumo da sigaretta, riduzione del consumo di alcool, alimentazione sana, esercizio fisico regolare).

La lunga latenza unita a barriere culturali e di capacità di interpretazione dei fenomeni di “nuova generazione” conducono a un rilevante sotto – riconoscimento delle malattie professionali a lunga latenza (tumori professionali, disturbi del sistema respiratorio, ipoacusie) . Ad esempio, come messo in rilievo dai dati elaborati dal CIIP, nel corso del tempo si è assistito a una riduzione del tasso di riconoscimento delle malattie oncologiche professionali (dal 47% del 2010 al 43% del 2019 ; il tasso si è ulteriormente ridotto al 39% in un anno particolare come il 2020). Di fatto gli unici tumori professionali riconosciuti sono oggi quelli amianto correlati.

I fattori che spiegano le differenze tra regioni a riguardo dei numeri delle denunce di tecnopatie (che variano dalle  19.412 della Lombardia alle oltre 30.00 dell’Emilia Romagna nel quinquennio 205-19) sono dipendenti da condizioni locali, tra cui : la giurisprudenza emergente nei tribunali operanti sul territorio, gli orientamenti delle diverse sovrintendenze sanitarie INAIL, la presenza attiva e la professionalità dei Patronati in materia. Non sono, quindi, indicative della rilevanza effettiva del fenomeno “danni alla salute da lavoro”.

Dati regionali e provinciali

La situazione regionale sostanzialmente rispecchia l’andamento nazionale, con un miglioramento nel medio periodo e una sostanziale stasi dal 2015 ad oggi (si veda la tabella 3).

Il tasso di incidenza degli infortuni per 100.000 lavoratori s’è ridotto da 31,93 (2010) a 27,86 (2019) (- 12,77%); una contrazione meno accentuata, ma comunque significativa, la si ha in relazione agli infortuni T40, passati da 7,45 (2010) a 6,43 (2019) ogni 100.000 lavoratori (- 11.71%) (si rileva, però, che lo stesso dato è 3 per la Lombardia e 5,5 per il Veneto). In termini assoluti, nel 2020 gli infortuni T40 riconosciuti sono stati 859.

Tabella 3 – infortuni sul lavoro riconosciuti in ER

La causa prevalente degli accadimenti infortunistici è la circolazione all’interno dei siti produttivi con o senza mezzi di trasporto, l’attività di produzione – trasformazione e il magazzinaggio. Tra i T40 emergono con forza gli infortuni correlati all’attività di cura della persona (seconda tipologia di lavoro coinvolta), a dimostrazione del fatto che il fenomeno non riguarda unicamente la manifattura.

I dati forniti da INAIL ci dicono che nel periodo 2015-19 in Emilia Romagna sono state denunciate 33.158 malattie professionali (70.358 denunce tra il 2010 e il 2020), anche se anche in regione il tasso di riconoscimento di quelle a lunga latenza (ad es. i tumori) s’è ridotto dal 49% del periodo 2010-12 al 45% del 2020, benché superiore alla media nazionale. Tra quelle denunciate v’è una netta prevalenza delle malattie a breve latenza , ed in particolare quelle dovute a sovraccarico biomeccanico (49.988 quelle denunciate nell’ultimo decennio) e del “sistema nervoso periferico” (il tunnel carpale, 9.740 denunciati in regione tra il 2010 e il 2020). Ciò dimostra che il carico fisico è ancora una dimensione molto presente nel lavoro, al quale può dare una risposta l’incipiente innovazione tecnologica e gli investimenti in ergonomia effettuati da molte aziende negli ultimi anni, nella consapevolezza che anche questi interventi sono un modo per incrementare non solo la sostenibilità del lavoro, ma anche la produttività e la qualità della produzione. Più tecnologia nella gran parte dei casi significa meno fatica, minore usura fisica e maggiore valore aggiunto.

La situazione di infortuni e malattie professionali è articolata a seconda del contesto territoriale di riferimento, caratteristica precipua di una regione molto differenziata al suo interno e connotata dalla presenza di molte e diverse specializzazioni produttive e distretti con peculiari processi produttivi.

In Emilia Romagna nel 2021 sono stati denunciati 74.066 infortuni sul lavoro, contro i 67.816 del 2020 (+ 9,22%), dato a cui è difficile dare un’interpretazione univoca, in quanto riguardante unicamente denunce in un anno in cui il Covid19 ha inciso ancora molto anche nei luoghi di lavoro. Si consideri che, nel periodo gennaio 2020 – marzo 2022, in regione sono stati denunciati 18.401 infortuni covid19 (il 7,5% del totale nazionale), con un incremento di 1.424 casi nel periodo gennaio – marzo 2022, a dimostrazione del fatto che la pandemia non è finita. La provincia con più casi è Bologna (5.041), caratterizzata dalla presenza di diversi poli ospedalieri, seguita da Modena (2.310), Reggio Emilia (2.045) e Parma (1.688).

L’andamento complessivo delle denunce relative ai territori di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Parma è il seguente :

Province Denunce di infortunio 2021 Incremento (sul 2020)
Bologna 16.802 + 9,92%
Modena 13.829 + 15,195
Reggio Emilia 9.177 + 7,9%
Parma 8.091 + 10,76%

La lettura del diverso impatto del fenomeno può essere data in relazione all’incidenza dell’incremento in relazione ai diversi settori, in base al principio “più infortuni laddove v’è una maggiore crescita del fatturato”.

Incremento 2021 – 2020
Trasporti + 22,47%
Costruzioni + 14,75%
Manifattura + 19,84%

 

Quasi tutte le province considerate (con l’esclusione di Reggio Emilia) presentano un incremento delle denunce di infortunio superiore alla media regionale, a dimostrazione che, malgrado gli sforzi compiuti permane una correlazione positiva tra il fenomeno, la crescita economica e l’intensità manifatturiera del territorio. Non è un caso, infatti, che almeno due dei territori considerati abbiano assistito ad un incremento del valore aggiunto superiore alla media regionale (+7%) : Modena + 9,7% e  Reggio Emilia + 8%[3]. Altrettanto si può dire della vocazione manifatturiera : le prime province in regione per incidenza del valore aggiunto industriale sono, infatti, proprio tre delle quattro considerate (con l’eccezione di Bologna), come si evince dalla tabella di seguito[4] :

Province % PIL industriale in senso stretto
Parma 31,4%
Reggio Emilia 36,3%
Modena 36,3%
Bologna 24,6%
Media regionale 27,6%

Come dimostrato dai diagrammi di seguito, le curve degli infortuni riconosciuti sono sostanzialmente simili all’andamento nazionale e regionale già rilevato. Si segnala una diminuzione degli eventi sino al 2015, un appiattimento della curva nella fase successiva e infortuni T40 di fatto stabili nel corso del tempo. Si rileva un trend addirittura “in ripresa” nel 2019 (anno di debole crescita economica) nelle province di Bologna e Modena. I dati dei riconoscimenti indicati per il 2020 sono ancora provvisori e passibili di revisione a seguito delle indagini effettuate dall’INAIL. È, comunque, significativo che in quell’anno, di lunga chiusura di interi settori, non si sia assistito a una diminuzione rilevante degli infortuni T40.

Gli infortuni mortali in regione tra il 2020 e il 2021 sono diminuiti del 7,56%, passando da 119 a 110; interessante notare come di stia assistendo ad un incremento degli eventi su strada, che passano da 38 (2020) a 48 (2021), quindi dal 28% alle 33% dei decessi sul lavoro. Ciò è paradigmatico di un crescente spostamento dei processi produttivi dal (solo) luogo di lavoro strettamente inteso alla strada, in conseguenza dello sviluppo del just in time e della logistica, trend accelerati dalla pandemia. Ciò richiede interventi di prevenzioni non solamente nella disponibilità delle aziende, ma che richiedono un’attivazione anche da parte di chi gestisce le infrastrutture viarie, in una regione, l’Emilia Romagna, fortemente caratterizzata dall’essere una piattaforma della mobilità delle merci e delle persone a livello nazionale e continentale.

La diminuzione delle morti sul lavoro non è stata omogenea per tutte le province considerate , anche in ragione della variabilità delle condizioni che possono condurre ad esiti di questo tipo:

  • Bologna : 26 infortuni mortali nel 2020, altrettanti nel 2021 (stabile).
  • Modena: 24 infortuni mortali nel 2020, 14 nel 2021 (- 41,67%); aumentano gli eventi su strada, che passano da 4 (2020) a 6 (2021).
  • Reggio Emilia : da 11 infortuni mortali (2020) a 15 (2021), in controtendenza rispetto a quanto avvenuto a livello regionale (+ 36,36%); aumentano da 3 a 5 gli eventi su strada;
  • Parma: 16 infortuni mortali (2020), 15 nel 2021 (- 5,88%); anche in questo caso gli eventi su strada aumentano da 2 (2020) a 8 (2021).

Per quel che riguarda il 2022, i dati INAIL (relativi ai soli infortuni denunciati e a quelli del primo trimestre) non solo affatto confortanti, pur risultando ancora condizionati dalla pandemia. In tal senso, si rileva che una buona parte dell’incremento sia da imputare alla  crescita della componente femminile, probabilmente dovuta alla maggior presenza di lavoratrici nel socio – sanitario (più esposto a Covid19).

In regione si assiste a un incremento del 25% rispetto allo stesso  periodo del 2021, passando da 16.525 a 20.673 casi. Viceversa le denunce di infortuni mortali sono in diminuzione di circa il 17%, passando da 18 a 15.

Ispezioni

In regione vengono effettuati circa 16.000 sopralluoghi annuali da parte dei servizi competenti delle AUSL sulle circa 400.000 aziende operanti in Emilia Romagna; nel complesso si controllano il 9% circa delle PAT (posizioni assicurative territoriali) presenti tra Piacenza e Rimini (nel 2020 a causa della pandemia il dato si è ridotto al 7,3%), ben oltre il LEA previsto[1], che è fissato al 5% delle PAT presenti sul territorio con almeno un dipendente o socio o con almeno un artigiano. Circa il 60% delle aziende controllate sono all’interno di cantieri temporanei e mobili, a dimostrazione dell’attenzione che si ha per un comparto, l’edile, ancora caratterizzato per numerosi infortuni e malattie professionali. L’indice di violazione oscilla attorno al 12%.

[1] I LEA sono i Livelli Essenziali di Assistenza che il SSN deve garantire su tutto il territorio nazionale.

Media annuale aziende controllate da SPSAL 2016 – 19 Di cui aziende operanti in cantieri temporanei e mobili Percentuale aziende sanzionate su quelle controllate
Bologna (Imola compresa) 4.403,1 2.872,3 17% Bologna

10% Imola

Modena 3.273,5 2.115,5 14%
Reggio Emilia 2.476,0 1.474 7%
Parma 2.287 1.469,5 27%

Le aziende da assoggettare al controllo vengono individuate in base a criteri epidemiologici (indici infortunistici di frequenza e gravità per la sicurezza e profili di rischio/danno per gli aspetti igienistici e sanitari), segnalazioni da parte di lavoratori o loro rappresentanti (RLS), notizie di eventi penalmente rilevanti o richieste di espressione pareri.

In fase di ispezione, è comune il rilascio da parte degli ispettori di prescrizioni ai sensi del d.lgs.758/1994, ovvero accertate le irregolarità in materia di salute e sicurezza, l’ispettore competente rilascia alcune indicazioni vincolanti finalizzate alla rimozione, da parte del responsabile, della situazione di non coerenza normativa. Quindi, una volta registrata l’ottemperanza alla prescrizione, il responsabile aziendale è ammesso ad estinguere anticipatamente il reato, pagando una sanzione di natura amministrativa determinata in ragione di un quarto del massimo edittale previsto dalla legge per le contravvenzioni accertate, senza che si prosegua con il procedimento dinnanzi al giudice. A tal proposito, si rileva che la stragrande maggioranza di questi atti hanno riguardato i datori di lavoro (96%) a proposito di regole specifiche non rispettate  nei cantieri temporanei e mobili. Impressiona, però, che al secondo posto per tipologia di situazioni da sanare vi siano quelle relative al mancato rispetto dei principi generali della normativa, contenuti nel titolo I del d.lgs.81/08 : ciò denota la necessità che si faccia più informazione e si mettano in campo azioni di supporto a riguardo del tema a tutti i livelli e nei confronti di tutti i soggetti coinvolti.

Questa constatazione è ulteriormente rafforzata dall’analisi del totale delle violazioni , che ci porta a dire che risultano al primo posto le inosservanze relative alle misure organizzativo procedurali (attorno al 30% del totale, quasi il 40% se si considera anche la mancata o carente valutazione dei rischi, atto fondamentale e alla base di tutto il processo di prevenzione nei luoghi di lavoro), a dimostrazione del fatto che è necessario cogliere l’occasione del rispetto della normativa non unicamente per adempiere alle pratiche burocratiche comunque necessarie, ma per darsi un sistema gestionale in grado di assicurare il miglioramento della situazione in essere.

In aumento le prescrizioni relative all’uso e allo stoccaggio non corretto delle sostanze chimiche, terreno, anche questo, che richiedere maggiore attenzione da parte di tutti anche a fronte del cambiamento in corso del quadro delle regole: la nuova direttiva (UE) 2019/1831, ha, infatti, stabilito il quinto elenco di valori limite indicativi di esposizione professionale in attuazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici.

Gli ispettori degli SPSAL del sistema sanitario regionale sono, comunque, diminuiti dai 312 del 2016 ai 282 del 2020. La legge 215/21, estendendo i poteri degli Ispettorati del Lavoro e parificandoli agli SPSAL per quel che riguarda le ispezioni sulla salute e sicurezza sul lavoro, ha, di fatto, cercato di creare una rete con il fine di incrementare le ispezioni, anche a fronte di un minore investimento realizzato dalle Regioni nel corso del tempo.

Non si possono non evidenziare, però, i diversi profili attinenti la vigilanza effettuata dalle due istituzioni. Allo stato l’Ispettorato è sicuramente meno dotato degli SPSAL per contribuire a mettere in atto tutte quelle azioni finalizzate a promuovere la “cultura della prevenzione”, cioè tutto ciò che viene prima dell’ispezione ed è necessario per migliorare la situazione. Inoltre, il timore è che vi possano essere sovrapposizioni e interferenze tra le due istituzioni, con il rischio che vi siano aziende più volte ispezionate, magari con esiti diversi.

[1] Consulta Interasociativa Italiana per la Prevenzione

[2] Eurostat, Possibility of recognising COVID-19 as being of occupational origin at national level in EU and EFTA countries (2021). Nell’UE solo Italia, Slovenia e Spagna riconoscono il Covid19 contratto al lavoro come infortunio. Nella maggior parte degli altri Stati membri è considerata malattia professionale (Francia, Bulgaria, Croazia, Cipro, Estonia, Polonia, Portogallo, Svezia, Slovacchia, Olanda, Lettonia, Lituania, Romania, Cechia). In Germania e Belgio può essere considerata come infortunio sul lavoro o malattia professionale a seconda degli specifici criteri nazionali

[3] Dati Prometeia, 2022

[4] Dati Istituto Tagliacarne Unioncamere, 2019

[5] I LEA sono i Livelli Essenziali di Assistenza che il SSN deve garantire su tutto il territorio nazionale.

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